Cosa sarebbe stato della poesia e dell’arte in generale senza il paesaggio? Quante volte ci siamo fatti questa domanda, immaginando con terrore un futuro nel quale la distruzione ambientale, oltre che a portarsi via territori ed animali in via di estinzioni, diventi tragicamente assuefazione inevitabile al spasmodico aumento della popolazioni. Spazi vuoti e suggestivi che hanno ispirato i poeti antropizzati per necessità o per calcoli economici insensati, la natura fagocitata dal cemento e da quartieri dormitorio. Gli animali selvaggi impotente di fronte alla fine. Chissà se è possibile immaginare la poesia senza il paesaggio. Sicuramente sì, evidentemente nelle sterminate periferie delle metropoli, del mondo e italiane, si nasconde tanta arte: sentimenti spontanei puri, non filtrati dalla dialettica forbita degli accademici universitari, dagli intellettuali di ogni estrazione ideologica e culturale. L’arte vivrà in eterno, quando gli alberi diminuiranno inesorabilmente, per lasciare spazi all’incremento demografico, scopriremo un’altra forma di poesia, di valori umani celati nei palazzoni e sull’asfalto. Un unico problema. Quando sarà così, la poesia, avrà una solo e prestigiosa funzione descrivere il presente; il paesaggio osservato, gli uomini e le donne che lo vivono . Tutto bene, se non fosse che il ricordo e la memoria sono condizioni dell’anima essenziali alla vita. Sterminando gli spazi, la fauna e la flora, cancelliamo dalla nostra esistenza il ricordo.. Mi ricordo ancora il campo di calcio improvvisato nella campagna, nel quale da bambino giocavo.
Quel campo non c’è più.